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Roma, 10 aprile 2002
IL PARLAMENTO DISCUTE SUL RIENTRO DEI SAVOIA IN ITALIA
Proposta di legge costituzionale: XIII disposizione transitoria e finale
della Costituzione (A.C. 2288) e abbinate
(Seguito della discussione e approvazione)
L’intervento di Marco Boato (Verdi – Pres. Gruppo misto) in discussione generale
Resoconto stenografico della Seduta n. 128 del 10 aprile 2002

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come tutti noi sappiamo, la XIII disposizione della Costituzione ha una lunga storia parlamentare. Essa è contenuta sotto il titolo disposizioni transitorie e finali, ma, come è stato sancito, sul piano giurisprudenziale, dall'adunanza generale del primo marzo 2001 del Consiglio di Stato, è da intendersi non come norma transitoria, bensì quale norma finale della Costituzione.

La lunga storia inizia già che nel corso della X legislatura, quella che va dal 1987 al 1992 ed ha visto più volte questo Parlamento affrontare molteplici proposte di legge finalizzate, a mio parere erroneamente, all'abrogazione dei commi primo e secondo della XIII disposizione, ovvero tendenti a sopprimere dalla Carta costituzionale il testo della prima e seconda disposizione finale riguardante casa Savoia.

Credo sia stato giusto che nel corso della X, XI e XII legislatura queste proposte di legge non siano state approvate. Ritengo che, da questo punto di vista, una svolta, sul piano parlamentare, nonché in relazione al riferimento costituzionale che ha una valenza storico-politica - proprio in relazione alle vicende che il collega Fioroni ha ricordato in quest'aula, anche se personalmente ne trarrò una conseguenza in termini di voto diversa dalla sua - vi sia stata e sia stato giusto che, nel corso della XIII legislatura, con il Governo Prodi ed, in particolare, con la responsabilità, che vorrei ricordare, del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio professor Ernesto Bettinelli, proposto al Governo dal gruppo dei Verdi della XIII legislatura, sia cambiato completamente l'approccio a tale materia. Non è un caso che si sia poi votato alla Camera un testo, per molti aspetti convergente anche se non identico, rispetto a quello oggi sottoposto al nostro esame.

Con il professore Ernesto Bettinelli, in qualità di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con il Governo Prodi, prima in sede di Commissione affari costituzionali e successivamente in quest'aula, si discusse a lungo (vi fu all'epoca una larga convergenza, salvo alcuni dissensi che anche oggi verranno probabilmente espressi) e si individuò la necessità non di abrogare il primo e secondo comma della XIII disposizione, - considerandola, per l'appunto, disposizione non di natura transitoria ma finale della Costituzione, e quindi ritenendosi opportuno, giusto e necessario che essa restasse nel testo costituzionale -, ma di far cessare gli effetti dei primi due commi, e soltanto di quelli, della XIII disposizione.

In qualunque sistema politico e, a maggior ragione, in qualunque sistema democratico, a mio parere, è giusto che una forma, per usare un'espressione greca, di ostracismo, inteso nel suo significato tecnico-giuridico, ad un certo punto abbia, per deliberazione democratica - e noi stiamo discutendo in un Parlamento - una sua conclusione. Siamo nell'anno 2002: sono passati 57 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, 56 anni dal referendum istituzionale del 1946 che ha sancito con il voto popolare - e, per la prima volta nel nostro paese, anche con il voto delle donne - la fine della monarchia, sono passati 54 anni e alcuni mesi dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Altri paesi hanno concluso vicende, simili o analoghe alle nostre, di ostracismo nei confronti degli appartenenti - maschi, in questo caso - alla precedente casa regnante. Nell'antica Grecia, cui ho fatto riferimento, le forme di ostracismo avevano la durata di alcuni anni e ad un certo punto cessavano. Dopo 54 anni dall'entrata in vigore della nostra Costituzione, a me, a noi pare opportuno - già ne discutemmo nella passata legislatura - proporre al Parlamento di deliberare non l'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione finale della Costituzione, ma la cessazione dei suoi effetti giuridici, perché in Costituzione quei commi, quella disposizione restino a memoria imperitura delle responsabilità gravissime della casa Savoia, ma perché la Repubblica italiana, ad un certo punto, abbia anche la capacità e la forza democratica non di dimenticare - il collega Fioroni giustamente ha espresso moniti solenni e gravi in quest'aula nei confronti di chi cerca di dimenticare - ma di far cessare l'efficacia giuridica di queste norme.

Se in quest'aula oggi fossero state al nostro esame proposte analoghe a tutte le altre che sono state presentate - eccetto la mia, la prima presentata in materia in questa legislatura che, non a caso, porta il numero 184 o anche quella dell'onorevole Antonio Pepe ed altri n. 1294, che è del tutto simile, non identica, alla mia -, se fosse stato presentato un testo quale quello contenuto nelle altre proposte di legge - Germanà, Prestigiacomo, consiglio regionale del Piemonte, Selva, Buontempo (il cui intervento è stato francamente sconcertante, dal mio punto di vista, sconcertante perché paradossalmente e drammaticamente coerente con le sue posizioni), Trantino, Collè, Amoruso -, se oggi avessimo dovuto esaminare quelle proposte di legge, tutte finalizzate all'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione, noi deputati Verdi e molti altri in quest'aula, che probabilmente oggi esprimeranno voto favorevole sul testo al nostro esame, avrebbero espresso voto contrario.

Noi non siamo favorevoli all'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, da intendersi in realtà - come ho ripetuto, citando il Consiglio di Stato - come disposizione finale, perché non ha un termine in Costituzione.

Oggi abbiamo al nostro esame una proposta di legge costituzionale, proveniente dal Senato (questa volta è il Senato ad aver iniziato l'esame del provvedimento, mentre nella scorsa legislatura fu la Camera ad affrontare, in prima lettura, questa materia), che prevede la cessazione dell'efficacia di quella disposizione. Quali sono le differenze rispetto alla proposta che io stesso ho presentato e che avevamo approvato nella scorsa legislatura? Il testo varato dal Senato - che, comunque, voteremo - ha il valore di legge costituzionale (quindi, dovrà essere esaminato dal Parlamento secondo le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione: la doppia lettura, la maggioranza assoluta dei componenti in seconda lettura, con l'auspicabile - credo - maggioranza di due terzi che eviti l'eventuale ricorso ad un referendum), che incide sull'efficacia del primo e del secondo comma della XIII disposizione, senza introdursi nella XIII disposizione. La cessazione di efficacia - l'esaurimento degli effetti, come recita il testo della proposta di legge costituzionale - decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Chiedo ai colleghi di parlare a voce più bassa.

Personalmente, avevo seguito una strada formalmente diversa (la sostanza è identica, ed è per questo che voteremo, in ogni caso, questo testo), ossia quella adottata, con il professor Bettinelli, nella scorsa legislatura, consistente nell'aggiungere alla XIII disposizione un quarto comma che avrebbe recitato: i primi due commi della presente disposizione esauriscono i loro effetti a decorrere dal 2 giugno 2002. Vi sono, dunque, due differenze, non sostanziali (ed è per questo che le rimarco, ma non sono motivo di cambiamento dell'atteggiamento positivo rispetto al voto sul testo in esame). In primo luogo, la nostra proposta di legge costituzionale avrebbe portato all'aggiunta di un comma alla XIII disposizione (aggiungere un comma vuol dire confermare la validità costituzionale e storico-politica e, al tempo stesso, decretarne l'esaurimento degli effetti). In secondo luogo, era prevista l'indicazione di una data di altissimo valore simbolico ed istituzionale, quella del 2 giugno 2002 (il 2 giugno, come sappiamo, è la data del referendum istituzionale con il quale venne abrogata la Monarchia (la maggioranza del popolo italiano - uomini e donne, queste ultime per la prima volta - determinarono tale risultato. Il riferimento al referendum istituzionale, con il quale il popolo italiano, sul quesito Monarchia o Repubblica, scelse la Repubblica, avrebbe dato un significato - lo ripeto - anche molto simbolico a questa nostra deliberazione.

Sappiamo che vi sono anche contesti di carattere internazionale, in relazione ad eventuali, possibili pronunce della Corte di giustizia europea, che hanno indotto e suggerito di accelerare i tempi d'approvazione di questa proposta di legge costituzionale in questa legislatura in modo da evitare eventuali pronunce esterne all'Assemblea parlamentare che condizionassero il nostro paese. Quindi, è giusto seguire la strada maestra: sia il Parlamento, che rappresenta il popolo italiano, a deliberare in questa materia.

Ripeto, nulla cambia...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se possibile, sciogliete i capannelli intorno al tavolo del Comitato dei nove.

MARCO BOATO. La ringrazio, signor Presidente.

Ripeto, nulla cambia per quanto riguarda il giudizio storico, costituzionale, politico e - se permettete che, per una volta, usi quest'espressione - anche etico sulle responsabilità dei Savoia e della Monarchia rispetto alle vicende che, così puntualmente e così drammaticamente, il collega Fioroni ha ricordato poco fa.

Non è stato il destino a segnare la fine del regime monarchico in questo paese. Vi sono Stati di altissima democrazia - uno per tutti: il Regno Unito - che hanno, tuttora, un sistema monarchico e vi sono numerosi altri paesi europei, di altrettanto altissima democrazia, i quali hanno scelto di avere un regime monarchico (di monarchia costituzionale, ovviamente). Non è stato un incidente della storia a provocare la fine della monarchia - fortunatamente - nel nostro paese.

Nessuno disconosce i meriti storici di casa Savoia (sia pure con la consapevolezza che la discussione sulle vicende della costruzione dello Stato unitario è ancora aperta nella storiografia), ma non è di questo che stiamo discutendo. Non torniamo ai tempi di Mazzini o di Garibaldi!

Sono in discussione, e rimarranno scolpite perennemente nella storia del nostro paese, le gravissime responsabilità dei Savoia rispetto all'avvento del fascismo, all'epoca del Governo Facta; alla costruzione dello Stato totalitario ed alla totale soppressione delle libertà democratiche; alle infami, scandalose, ignobili e repellenti leggi razziali contro gli ebrei del 1938 (delle quali il collega Fioroni ha fatto bene a ricordare non solo l'infame portata storica, ma anche quanto già si sapeva e, successivamente, è emerso dettagliatamente per merito del lavoro di indagine svolto dalla Commissione Anselmi, sul quale il collega ha giustamente posto l'accento); all'entrata in guerra al fianco dei nazisti, nella seconda guerra mondiale, aggredendo la Francia, il 10 giugno 1940; alla - uso un termine persino tenue - ingloriosa fuga, dopo l'8 settembre 1943 e alla conseguente dissoluzione dello Stato, fase in cui, come ricorda spesso il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, la possibilità di identificazione con la Patria è rimasta in carico a quei militanti, ed anche a quei militari, della Resistenza che seppero mantenere un'identificazione nazionale, ma non nazionalista, patriottica, ma non fascista (anzi, antifascista ed antinazista), combattendo contro i nazisti ed i fascisti della Repubblica di Salò.

Tutto ciò (ed altro ancora, poiché ho indicato soltanto gli aspetti salienti) resta scolpito nella storia del nostro paese e nella coscienza del popolo italiano. Poiché le generazioni cambiano, sarà opportuno che se ne torni a parlare, che tutte queste cose vengano rievocate, sul piano della ricostruzione storico-politica ed anche istituzionale. Nessuna delle responsabilità che ho innanzi elencato potrà essere attenuata dalla decisione che questa Camera dei deputati si accinge a prendere, dopo che l'ha già assunta il Senato della Repubblica.

Se c'è un motivo per cui questa decisione, che avremmo potuto prendere già nella scorsa legislatura e che avrebbe potuto trovare la sua conclusione con le procedure dell'articolo 138 (i tempi erano già maturi qualche anno fa), poi non è stata presa, esso può essere individuato nella grave irresponsabilità del principale discendente maschio di casa Savoia che, mentre noi discutevamo in Parlamento di questi aspetti, irrideva, di fronte a decine di milioni di italiani, in interviste televisive, alla gravità della portata delle leggi razziali. A chi, tra i discendenti di casa Savoia, si lamenti dei tanti anni trascorsi - forse qualcuno più del necessario - rispetto a questa deliberazione parlamentare, io, che ho già votato a favore nella scorsa legislatura, voglio dire: chi è causa del proprio male pianga se stesso; chi ha irriso non alle responsabilità personali ma a quelle storiche della Monarchia dei Savoia, chi ha irriso pubblicamente, di fronte al popolo italiano, mentre i Parlamenti di tutta Europa celebravano la giornata di ricordo dell'olocausto (come ha fatto giustamente anche il Parlamento italiano), quasi alla banalità delle leggi razziali del 1938 (che non sono l'unico capo di imputazione storico nei confronti dei Savoia), ha provocato inevitabilmente un contraccolpo nella coscienza dei cittadini e nelle responsabilità del Parlamento, che ha bloccato nella scorsa legislatura il proseguimento dell'iter di questa proposta di legge.

Noi ricordiamo che il Governo Amato, che ha retto le sorti del paese nella fase finale, nell'ultimo anno della scorsa legislatura, ha comunque cercato di superare quella doverosa impasse parlamentare, rivolgendosi al Consiglio di Stato per ipotizzare una eventuale - da me non condivisa - interpretazione evolutiva e, quindi, una diversa applicazione del contenuto impeditivo della XIII disposizione. Ma, opportunamente, l'adunanza generale, che ho già ricordato, del 1o marzo 2001, con il parere n. 153/2001 del Consiglio di Stato, ha sancito, visto che questo parere era stato richiesto dal Governo, che non di disposizione transitoria si tratta, ma di una disposizione finale e di puntuale portata precettiva, la cui abrogazione non può in alcun modo derivare da una attività di interpretazione evolutiva, bensì dall'ordinario procedimento di revisione dettato dall'articolo 138 della Costituzione. E comunque, oggi, non di abrogazione stiamo discutendo. Nella discussione sulle linee generali ho sentito qualche collega di Alleanza nazionale affermare di essere favorevole a questo testo, che prevederebbe l'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione. Non ha letto il testo questo collega; quello che stiamo discutendo - l'ho già ricordato - è il testo di una legge costituzionale che afferma (è brevissimo; lo leggo): «I commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione esauriscono i loro effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale». Stiamo discutendo e deliberando non sull'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione, ma sull'esaurimento dei loro effetti a 54 anni e tre mesi e mezzo dalla loro entrata in vigore (quando poi la legge avrà completato il suo iter saranno passati 54 anni e mezzo complessivamente, grosso modo). Signor Presidente - e concludo - , questa è una materia che, se fosse stata posta al Parlamento come la maggior parte delle proposte di legge erroneamente la proponevano, cioè nei termini dell'abrogazione più volte citata, avrebbe dilacerato le coscienze, avrebbe provocato uno scontro frontale in questa Assemblea, avrebbe visto il mio voto contrario. Io mi sarei battuto fermamente e duramente perché non passasse un'ipotesi di questo genere.

Abbiamo invece trovato non l'unanimità - ovviamente difficile in una materia così delicata e complessa -, ma una larga convergenza parlamentare su questa proposta di legge costituzionale, che ora scolpisce e lascia scolpiti in Costituzione il primo e il secondo comma della XIII disposizione, a imperitura memoria delle responsabilità di casa Savoia. Ciò è stato possibile grazie ad un atto di maturità politica, di responsabilità democratica, di consapevolezza della forza della nostra democrazia repubblicana, nonché della portata e della forza dell'ultimo articolo della nostra Costituzione (l'articolo 139, che recita «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale» - e, quindi, chi volesse cambiare questo articolo non lo potrebbe fare con le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione, ma piuttosto con un colpo di Stato istituzionale -), della maturità democratica del popolo italiano e dell'ineludibilità e incancellabilità del giudizio storico sull'infame responsabilità di Vittorio Emanuele III - perché di questi stiamo parlando -, in relazione alle vicende del fascismo, dal primo atto fino alla fuga ingloriosa dell'8 settembre.

Una volta sancita, ricordata, sottolineata - e lo si dovrà fare nei mezzi di informazione e nel dibattito pubblico - questa vicenda storica (con la consapevolezza che nel 2002 possiamo, non dimenticare, bensì far cessare gli effetti di quella disposizione), forse possiamo accingerci ad esaminare questo testo, augurandoci semplicemente, signor rappresentante del Governo, che nel corso dell'iter di questo disegno di legge, che lei ha seguito con intelligenza e cura, non ci sia qualche altro pronunciamento esterno che ne provochi l'interruzione traumatica, perché questo può sempre succedere, visto il basso livello intellettuale delle persone a cui facciamo riferimento.

Augurandomi, quindi, che ciò non accada un'altra volta, come è avvenuto nella scorsa legislatura, credo che possiamo, proprio ricordando tutto ciò che il collega Fioroni ha rilevato questa mattina, ma al tempo stesso avendo la consapevolezza della nostra forza democratica e della nostra responsabilità istituzionale, accingerci ad esaminare questo testo, augurandomi che possa essere approvato a larga maggioranza, dando così un segno ancora una volta di superiorità della Repubblica rispetto alla casa Savoia.

 

  Marco Boato

MARCO BOATO

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